Le due guerre by Nuto Revelli

Le due guerre by Nuto Revelli

autore:Nuto Revelli [Revelli, Nuto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Generica, Contemporaneo, 20mo Secolo, Scienze Politiche, Ideologie politiche, Fascimo e Totalitarismo, Narrativa italiana, Saggistica
ISBN: 9788806164522
Google: FfpmAAAAMAAJ
editore: Einaudi
pubblicato: 2003-07-14T22:00:00+00:00


Capitolo settimo Dal 25 luglio all’8 settembre 1943.

LE PRIME BANDE PARTIGIANE

Il ritorno dal Fronte russo è un momento importante. È il momento della tregua. È il momento in cui si rivive l’esperienza appena sofferta, in cui esplodono i sentimenti, le rabbie, le contraddizioni. Ognuno di noi è uscito diverso da quel tunnel senza fine, dall’inferno della ritirata. Ognuno di noi fa fatica a riconoscersi.

Il 17 marzo, alle 5,30, la mia tradotta arriva a Tarvisio e prosegue, con brevi soste, nelle stazioni di Camporosso, Pontebba, Gemona, Tarcento.

Siamo in una delle valli di reclutamento della Divisione Julia. In ogni stazione c’è una piccola folla di donne vestite di nero, già segnate dal lutto, che implorano notizie. Mostrano la fotografia del congiunto, vogliono conoscere la sorte della Julia.

Noi sappiamo solo che la Julia è quasi completamente scomparsa sul Fronte russo. Non sappiamo cosa dire.

A Udine le operazioni di sbarco, di scarico, avvengono sui binari morti, a un centinaio di metri dalla stazione. Siamo isolati come degli appestati.

Sotto la pensilina della stazione c’è la solita folla dei familiari, dei congiunti, che tenta di muovere verso di noi. Ma uno sbarramento di carabinieri impedisce che la folla ci raggiunga. La scusa è quella della paura del tifo petecchiale. In realtà non vogliono che ci siano rapporti con la popolazione.

Solo quattro o cinque rigattieri riescono ad avvicinarsi, a infilarsi tra gli alpini: comprano coperte piene di pidocchi per pochi soldi.

Poi ci ricoverano per un mese nel «campo contumaciale», una caserma di capannoni tutti uguali, bianchi e bassi. La disinfestazione è rigorosa, sempre per timore del tifo.

Ho con me alcuni sacchi di posta, lettere destinate alla mia compagnia e arrivate fino in Russia dopo i giorni del disastro. È la posta dei dispersi, dei caduti. Non so che farne. Ho anche le mie armi automatiche: due parabellum russi (il mio e quello di Grandi, morto a Nikolajevka) e una machinen-pistole tedesca, con relative munizioni. Riesco a evitarne il sequestro.

Sono una sessantina i miei alpini della 46ª: sul fronte eravamo 346. Trascorro le giornate con loro, nel tentativo di ricostruire il ruolino della compagnia che è andato smarrito nei giorni della ritirata. Riusciamo a ricordare ogni singola storia, a ritrovarli tutti i 346 alpini del Don, i caduti e i dispersi. Abbiamo un registro, dove scriviamo tutto: chi ha visto per l’ultima volta l’alpino Tironi, o il sergente Colturi, e se era morto, o ferito, o congelato. E sul registro indichiamo i testimoni e per i caduti compiliamo l’atto di morte, sottoscritto da due testimoni. E soprattutto pensando ai congiunti dei caduti e dei dispersi che trascorriamo le nostre giornate rivivendo, giorno dopo giorno, la trafila della nostra ritirata di Russia.

Nel tempo libero ricostruisco sul diario la mia ritirata di Russia. Non voglio dimenticare nulla.

Ed è già difficile ritrovare nella memoria certi momenti della ritirata, con i giorni e le notti che si confondono.

Sono un ribelle. Sono insofferente alla divisa, sono insofferente ai gradi. Ormai è come se la gerarchia non esistesse più.

Un capitano addetto all’Ufficio assistenza, un imboscato, distribuisce un opuscolo indegno.



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